Internazionale dei Forums
Scuola di psicoanalisi dei Forums del Campo lacaniano

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« I tempi del soggetto dell'inconscio »

« La psicoanalisi nel suo tempo e il tempo nella psicoanalisi »

XII° Rendez-vous dell' IF-EPFCL
5-6 luglio 2008
São Paulo - Brazil

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Manifesto

Presentazione

Attualità, Colette Soler, 11 aprile 2007

Oggi la questione del tempo proprio della psicoanalisi ci ritorna da fuori. Il tema ci viene riproposto dall’attualità del discorso capitalistico che fa del tempo un valore mercantile come un altro, legato evidentemente al regime dei godimenti contemporanei.

Grande differenza sia in rapporto a Freud sia in rapporto a Lacan. Agli inizi della psicoanalisi era in seno alla comunità degli analisti che la durata della cura veniva posta in questione e costituiva un oggetto di dibattito. Quando mezzo secolo più tardi Lacan ha voluto fare del tempo non più un dato inerte del quadro analitico, ma un dato inerente alla relazione di transfert, maneggiabile dunque a questo titolo nella seduta, è con l’ortodossia dell’IPA che si è scontrato. L’oggetto di dibattito era diventato oggetto di litigio, ma pur sempre nel piccolo mondo degli analisti.

Per quanto riguarda noi, l'interpellazione che ci sentiamo rivolta è raddoppiata da quella, molto più potente, che viene dal discorso corrente. I media si sono impadroniti del tema, che si diffonde nel pubblico, e che informa le domande stesse di cura. Essere ascoltati a lungo in ogni seduta, e guarire rapidamente, potrebbe ben essere la nuova richiesta della nostra epoca. Logico : dal momento che oggi il tempo si compra e si vende, in che modo il consumatore potrebbe non voler acquistare il godimento garantito di un tempo di seduta, e non chiedere all’analista di vendere un’analisi breve?

E come potrebbero analisti che si iscrivono sotto il significante del Campo lacaniano, come campo di regolazione dei godimenti, restare sordi a questa interpellazione e continuare indefinitamente a lasciar dire? Tanto più che il dibattito interno tra la corrente lacaniana e quella dell’IPA non è chiuso. E verifichiamo ogni giorno che quest’ultima, per lusingare lo spirito del tempo non esita a far valere come pseudo-garanzia la sua seduta lunga e a durata fissa - e senza ulteriori argomentazioni. Dall’altro lato, non si è forse visto apparire nel Campo freudiano il tema, non meno demagogico, della psicoanalisi applicata capace di produrre alfine, dopo un secolo di sforzi vani, "l’analisi breve"! Si vede bene come sia grande la tentazione della politica "cerca guai", la politica controproducente di gettarsi nelle braccia del discorso avverso, e per timore che la psicoanalisi scompaia dal mercato, di contribuire attivamente alla propria diluizione nel campo detto "psi", le cui quotazioni sono in rialzo.

La nostra questione è differente. Essa è presa tra due scogli, quello di misconoscere che abbiamo cambiato mondo in pochi decenni ed ignorare superbamente "la soggettività della nostra epoca", e quello di cedere sull’offerta propriamente analitica in nome dell’adattamento realista, mentre si tratterebbe piuttosto di precisare ciò che del tempo nella psicoanalisi non può fluttuare in funzione dello spirito del tempo.


L’analisi per esempio, può non essere sempre lunga, dato che la sua lunghezza si misura in rapporto ad una attesa? Fin dall’epoca delle prime analisi, ben corte in realtà, qualche mese o qualche settimana, già si deplorava la loro lunghezza, Freud in testa, senza dubbio perché il modello di riferimento era la consultazione medica. Altra constatazione divertente: gli psicoanalisti di diverse obbedienze, loro che in genere non si accordano su niente, sono però d’accordo sulla durata incomprimibile della cura, e potrebbero sottoscrivere per l’essenziale la frase di Lacan: "ci vuole il tempo". È giocoforza per essi, in effetti, constatare che tutti i tentativi per economizzare sulla durata, e ce ne sono stati nella storia della psicoanalisi, sono falliti (1).

Per quanto riguarda la durata della seduta, invece, da quando Lacan ha intaccato questo tabù, la lotta infuria. Non è forse già il segno che l’analista non si considera veramente come responsabile della durata della cura, mentre invece per il tempo della seduta egli sa che c’è di mezzo un’opzione, e che questa deve essere fondata... L’inconscio sarebbe dunque ciò a cui fare ricorso? Ma bisognerebbe anzitutto rispondere alla questione, lancinante lungo tutto l’insegnamento di Lacan e sempre da lui ripresa fino all’ultimo: l’inconscio che cos’è? Di fatto nei loro dibattiti storici sul tempo gli analisti ne hanno fatto argomento, ma senza che alcuna conclusione si imponesse, poiché si può dirne una cosa e il suo contrario: che l’inconscio non conosce il tempo, insistenza indistruttibile, e che tuttavia si manifesta in una pulsazione temporale che gli è propria (tema freudiano), che però vuole tempo per manifestarsi nella seduta (tema post freudiano) o che al contrario, lavoratore mai in sciopero, ha tutto il tempo a disposizione perché non conosce i muri della seduta (tema lacaniano). Il fatto è che la concezione che ci si fa dell’inconscio è solidale con quella del tempo analitico.


La questione aperta da questo tema non è semplicemente clinica.

Una clinica del tempo è possibile, certo, ma a dire il vero non è più da fare, perché già ben tracciata dall’insegnamento di Lacan. Tempo del soggetto che si "istorizza" teso tra anticipazione e retroazione: tempo proprio a ciascuna struttura clinica, che marca col suo sigillo la temporalità universale del soggetto e la cui tipicità è già l’indice di un reale, a seconda che esse si "istorizzino" oppure no; "tempo logico" di produzione di una conclusione a partire "dal non saputo". Produzione la cui durata, incalcolabile, è propria a ciascun analizzante, il che lascia pensare che per logico che sia, questo tempo, non è "puramente logico", partecipando piuttosto di un reale che si manifesta nella testura del tempo.

Il punto cruciale del nostro tema oggi sta però altrove, più etico che clinico: che cosa un’analisi sempre lunga può promettere all’uomo frettoloso della civiltà? Effetti terapeutici a volte e spesso perfino rapidi, non c’è dubbio, contrariamente a ciò che si crede. Ma aldilà di questo, "il tempo che ci vuole", secondo l’espressione di Lacan, permette di produrre un nuovo soggetto?

Freud poneva già questa questione, interrogando in Analisi terminabile e interminabile, al di là del terapeutico, la possibilità di uno stato del soggetto che si otterrebbe solo attraverso la cura. Ma si è fermato su questa soglia. Non che egli misconosca che l’analisi produce delle sorprese, ma per lui, paradossalmente, queste non sono il segno del nuovo, ma, al contrario, del ritrovamento, del ritorno di un passato infantile. Di qui, ciò che un’analisi può promettere di meglio è la riconciliazione del soggetto con ciò che egli aveva respinto in partenza con la rimozione, o l’ammissione di ciò che non era neppure stato simbolizzato e che insisteva nella ripetizione. Da cui la straordinaria formula freudiana, nella sua ironia: riportare l’infelicità nevrotica all’infelicità banale.

Nell’opzione di Lacan, al contrario, il tempo è un possibile vettore di novità. Il fatto è che non può essere pensato solo come strutturato dalla dimensione simbolicoimmaginaria che garantisce l’immanenza del passato nel presente. La questione di ciò che esso implica di reale deve essere posta, con buona pace di Emmanuel Kant, perché prima di ogni promessa analitica bisogna rispondere alla questione di sapere come il tempo reale di una cura incide sul reale del parlessere.

1 - Si pensi in particolare a Rank, o a Ferenczi

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